c) La città di Stendhal
Così, Stendhal arriva quasi a capire (come Hegel, e sia pure non per la strada di Hegel) il perchè la luce interna della chiesa gotica non debba essere quella naturale, quella del "sole profano":
«Les vitraux colorés conservent aux cinq navate de l'intérieur le beau sombre qui convient à la réligion qui prêche un enfer éternel» (283).
Comunque, il Duomo di Milano non è nemmeno troppo marcato da questa idea di morte (e qualcosa del genere ci suggerisce anche Heine a proposito del duomo di Trento):
«Ce marbre blanc découpé en filigranes n'a certainement ni la magnificence ni la solidité de Saint-Paul de Londres. Je dirai aux personnes nées avec un certain tact pour les beaux-arts: cette architecture brillante est du gothique sans l'idée de mort; c'est la gaieté d'un coeur mélancolique; et, comme cette architecture depouillée de raison semble batie par la caprice, elle est d'accord avec les folles illusions de l'amour. Changez en pierre grise le marbre éclatant de blancheur, et toutes les idées de mort reparaissent» (284).
C'è, è vero, del gotico che a Stendhal non piace (per esempio, la Certosa di Pavia - questa "bomboniera di marmo senza dignità"
(285) -, oppure quella di Firenze - una specie di "satira" architettonica) (286), ma il superamento del Settecento, nel discorso complessivo sul gotico, mi sembra comunque indiscutibile. e tanto più dieci anni dopo, quando, nelle Promenades, Stendhal, accostandosi a Goethe e allo stesso difficile Dickens, definirà la cattedrale di Strasburgo come la "più bella chiesa gotica del continente" (287), o quando dedicherà al gotico un intero excursus storico (288).
Le condizioni fondamentali del rinnovamento romantico, dunque, ci sono tutte in Stendhal fra il 1817 e il 1827-28, e potremmo continuare a documentarlo.
Eppure, anche le radici di Stendhal affondano nel "secolo dei lumi", nè egli vuole (o riesce a) reciderle del tutto. Abbiamo visto, in proposito, il suo ricorrente pregiudizio, per esempio, nei confronti del travertino, un pregiudizio innegabilmente settecentesco, e analogo a quello di de Brosses sul mosaico.
Ma più chiari ancora, da un certo punto di vista, sono i pregiudizi urbanistici, in cui troppo disinvoltamente lo scrittore si abbandona a ipotesi distruttive, vale a dire quelli su Borgo a Roma, sul palazzo Vaticano rispetto a San Pietro, su Castel-Nuovo a Napoli, ai quali possiamo aggiungere, adesso, un altro, cui egli allude nelle Promenades:
«La rue du Cours (a Roma) finit au mont Capitolin; Rome attend un pape ami des arts, qui, en abattant jours dans la direction du Corso, arrivera à peu près au jardin des Capucins, sous l'église d'Ara Coeli» (289)
Rilevato come questa "sistemazione" del complesso via del Corso-Campidoglio, pur differendo senz'altro dall'attuale (colla presenza del Vittoriano), in qualche modo vi preluda (soprattutto per quell'idea di "abbattere" delle case sulle pendici dell'altura), c'è da concludere che tutto ciò, con il Romanticismo, non è affatto in linea.
Le stesse riserve sull'architettura neoclassica appena citate, Stendhal parrebbe infine contraddirle quando confessa reiteratamente, almeno nel 1817, una forte debolezza per le colonne:
«Milan est la ville d'Europe qui a (...) les plus belles cours dans l'interieur des maisons. Ces cours carrèes sont, comme chèz les Grecs anciens, environnèes d'un portique, formè par des colonnes de granit fort belles. Il y a peut-etre à Milan vingt mille colonnes de graint (...) Ce qui me plait le plus à Milan, ce sont les cours dans l'interieur des batiments. J'y trouve une foule de colonnes, et pour moi les colonnes sont en architecture ce que le chant est à la musique»(290).
Va tuttavia ricordato che un'analoga debolezza per i cortili interni dei palazzi, stavolta romani (con le loro colonne, i loro resti di qualche edificio più antico, spesso con la loro fontana al centro), caratterizzerà in senso nettamente romantico, invece, il Nathaniel Hawthorne de
Il fauno di marmo
(291): considerare dunque questa stessa debolezza, in Stendhal, come sintomo d'un gusto un poco rètro, potrebbe anche essere non del tutto corretto.
Anche dal punto di vista, comunque, del puro gusto urbano, mi pare corretta la localizzazione ideologico-culturale che di Stendhal compì Gyorgy Lukàcs, secondo cui "l'appassionata e giusta critica, che Stendhal rivolge all'età presente, è legata nel modo più stretto ai limiti illuministici della sua concezione storica, alla sua incapacità di vedere la fine del periodo eroico dello sviluppo borghese come una necessità storica"
(292).
Altri aspetti della sensibiltà di Stendhal, vanno in ogni caso sia pure rapidamente ricordat, aspetti che se non riescono a farne dimenticare il settecentismo di fondo, pure contribuiscono a riequilibrarla in senso romantico. Si allude, per esempio, al discorso sullo stile ch'egli fa in Rome, Naples et Florence, e che parrebbe aver anchìesso, come già accaduto in altro caso, almeno un qualche eco in Nietzsche:
«Je trouve que le casin de San Paolo (il palazzo in cui era il circolo milanese dei nobili) inspire i resspect (...) Cette phisionomie de l'architecture d'un bâtiment, qui inspire un sentiment d'accord avec sa destination, s'appelle le style. Come le plupart des bâtiments doivent faire naitre le respect et meme la terreur, par exemple une église catholique, le palais d'un roi despote, etc. souvent quand on dit en Italie: Ce bâtiment est plein de style, entendez: il inspire le respect» (293)
Ma sono romantiche, in Stendhal, anche certe intemperanze, come per esempio la stroncatura di Piazza del Popolo, stroncatura evidentemente suggeritagli da una tradizione elogiativa diventata, ormai, pura retorica:
«Nous sommes entrés à Rome par cette fameuse porte du Peuple. Ah! que nous sommes dupes! cela est inférrieur à l'entrée de presque toutes les grandes villes de ma connaissance: à mille lieues au-dessus de l'entrée à Paris par l'arc de triomphe de l'Etoile Les pedants, qui trouvaient dans la Rome moderne l'occasion d'étaler leur latin, nous ont persuade qu'elle est belle: voilà le secret de la réputation de la ville éternelle» (294)
Com'è, infine, romantico l'atteggiamento di Stendhal nei confronti della Campagna Romana, atteggiamento che lo approssima ad un Goethe a un Humboldt ed uno Chateaubriand, a la cui notorietà ci esime, peraltro, dal citarne degli esempi.
(283) Rome, Naples et Florence, cit., p. 35-36.
(284) Ibid. p. 36. HEGEL (Estetica, cit. p. 772)
(285) STENDHAL, Rome, Naples et Florence, cit., p. 38.(286) Ibid. p. 36.
(287) Ibid. p. 220.
(288) Op. cit., vol. II, p. 13.
(289) Ibid. vol. II, pp. 14-15.
(290) Ibid. vol. I, p. 167.
(291) STENDHAL, Rome, Naples et Florence, cit., pp. 17 e 68.
(292) Op. cit. p. 41 - cap. 5.
(293) GYORGY LUKACS, Il romanzo storico, trad. it. di ERALDO ARNAUD, Torino, Einaudi, 1965, p. 97. Non a caso, d'altra parte, già nel 1902 URBAN MENGIN esclude dal libro Stendhal sostenendo, addirittura, ch'egli "non è un romantico".
(294) Op. cit., pp. 28-29- Vedi per esempio FRIEDRICH NIETZSCHE, Umano troppo umano trad. it. G. DELAUDI, in Opere complete, Milano, Monanni, 1927, vol. III, pp. 62-63.
(295) STENDHAL, Rome, Naples et Florence, cit., p. 235. Arrivando a Napoli, Stendhal ribadisce (p. 240): "Cela (l'entrata a Napoli) est bien autrement frappant que cette bombonnière si vantèe, qu'on appelle à Rome la porte du Peuple".
Theorèin - Dicembre 2007